Stefania CioffiTi Amo o Non Ti Amo

Stefania Cioffi

Ti Amo o Non Ti Amo

TI AMO O NON TI AMO, E’ QUESTO IL PROBLEMA

Quando l’incapacità di esprimere i sentimenti rende instabile un rapporto di coppia

Esprimere i propri sentimenti al partner rafforza il senso di appartenenza alla coppia e rappresenta il preludio per l’instaurazione di un legame autentico e stabile nel tempo. Anche a livello personale, sentire l’amore dell’altra persona aumenta il senso di fiducia in sé e crea le condizioni ottimali per il proprio benessere e quello dell’altro.
Cosa succede quando ci si relaziona ad una persona incapace di esprimere ciò che prova nei nostri riguardi?
Ci sono partner che mettono in atto comportamenti altalenanti: un attimo prima si dichiarano interessati alla relazione che vivono, un attimo dopo comunicano la loro necessità di riflettere, dettata da dubbi e pensieri contrastanti, causando confusione e senso di impotenza, rabbia, ansia, fino alla rottura del rapporto stesso.
Non riuscire ad esprimere i propri sentimenti non è sempre simbolo della loro mancanza. Molto spesso, la persona nasconde una paura, spesso inconscia, di instaurare legami profondi poiché ciò la condurrebbe a rivivere dinamiche infantili che hanno procurato al bambino una ferita nel riconoscimento di sé e dei propri bisogni.
Amare significa in qualche modo dipendere, in modo sano, dall’altro. Ma la dipendenza richiede quella fiducia che probabilmente non è stata acquisita in modo idoneo nel rapporto primario con le figure genitoriali.
Com’è stata caratterizzata l’infanzia di queste persone?
Da bambini, questi soggetti hanno subito, con molta probabilità, una grave ferita narcisistica, un colpo alla stima di sé che ha lasciato il segno modellando la personalità. Questa ferita ha implicato un’umiliazione, in particolare l’esperienza di essere impotenti mentre un’altra persona ha provato piacere nell’esercitare il proprio potere. I genitori, consciamente o inconsciamente, hanno in qualche modo usato il potere come mezzo di controllo. In molti casi il potere come forza fisica, costringendo il bambino alla sottomissione. Le sculacciate, ad esempio, sono una forma comune di abuso fisico e possono essere particolarmente umilianti.
Ci sono dei genitori che intensificano le botte se il bambino piange, come se negassero al piccolo anche il diritto di esprimere la sofferenza. Ma la punizione fisica non è l’unico modo di umiliare un bambino. Spesso lo si critica in una maniera che lo fa sentire senza valore, inadeguato, incapace. Capita che quando il bambino piange, i genitori lo accusino addirittura di falsità. A volte gli adulti ripetono sui figli il trattamento che avevano ricevuto dai loro stessi genitori: genitori che si sentono impotenti nella vita, possono rifarsi comportandosi da dittatori con i figli. Un’accentuazione del potere dei genitori conduce inevitabilmente i figli alla ribellione o alla sottomissione. Il bambino che si sottomette impara che i rapporti sono governati dal potere e questa è una premessa perché da adulto lotti per ottenerlo. Imparano a gestire tutte le loro relazioni attraverso il potere e mettendo in atto difese inconsce che non permettono loro di entrare davvero a contatto con la sfera dei sentimenti.

Ricordiamo che i bambini imparano di più con la comprensione e la gentilezza che con la forza e le punizioni.
Se la punizione è necessaria, può essere messa in pratica in maniera non umiliante.
Quando il bambino viene costantemente esposto ad umiliazioni, in una forma o in un’altra, la paura dell’umiliazione finisce per essere strutturata nel corpo e nella mente. Ed è per questo che impara ben presto a negare i propri sentimenti, cercando di proiettare un’immagine di invulnerabilità e di superiorità e lottando per il potere. Emerge la necessità di controllare sé stessi, negando quei sentimenti che li renderebbero vulnerabili e, contemporaneamente, emerge la necessità di controllare quelle situazioni in cui si trovano coinvolti, per accertarsi che non ci sia possibilità che altri abbiano potere su di loro. Potere e controllo, dunque, concorrono a proteggere l’individuo dal sentirsi vulnerabile e dal sentirsi incapace di prevenire una possibile frustrazione.
La tragedia è che, a livello profondo, questi soggetti vogliono disperatamente amare ed essere amati, ma non possono o non osano esprimere questi sentimenti. Susciterebbe troppo dolore. Quando le emozioni sommergono la coscienza, il sentimento è così forte che l’Io appare incapace di controllarlo o di controllare il comportamento che ne consegue. Si apprende ad agire senza sentimenti. Un sentimento non è qualcosa che si fa, un processo mentale, ma è qualcosa che succede nel corpo. Un essere umano non può agire completamente senza sentimenti. Anche se ci sono persone che funzionano come delle macchine, va riconosciuto che i sentimenti sono potenzialmente presenti. Si manifestano di tanto in tanto e in forma distorta. Succede che l’espressione dei sentimenti, di solito, prenda la forma o di una rabbia irrazionale o di un lacrimoso sentimentalismo; la rabbia è un’esplosione distorta di collera, mentre il sentimentalismo è un sostituto dell’amore. Quando neghiamo i nostri sentimenti, neghiamo anche che gli altri ne abbiano. Tutto ciò avviene perché si ha il timore, per lo più inconscio, di essere sopraffatti da essi.
Il rapporto neonato-madre è stato, il più delle volte, catastrofico, accompagnato spesso dalla presenza di un padre inadeguato nel suo ruolo fondamentale che ha portato a sviluppare un deficit nelle relazioni d’oggetto.
Bambini piccoli deprivati che, da adulti, mancano della capacità di avere fiducia negli altri. Il bambino che è stato danneggiato narcisisticamente prova degli intensi impulsi distruttivi che è costretto ad espellere nello spazio esterno (non potendoli scaricare, in fantasia, nella madre). Questo spazio esterno non è in grado di contenerli e trasformarli, per cui tali impulsi diventano talmente minacciosi da far sentire la persona addirittura perseguitata. Queste persone lamentano spesso un senso di vuoto esistenziale e sentimenti congelati e scissi. Vengono temuti il giudizio e la critica, anche costruttiva, perché richiamano alla realtà; una realtà che, dietro la maschera grandiosa, è il vuoto, la nullità dei sentimenti, l’insignificanza. È chiara la paura di rivelarsi, perché nel suo profondo la persona si sente inaccettabile. Se l’immagine negativa sale alla superficie, si sente perduta. Riaffiora il dolore e il senso di umiliazione: si sente debole, esposta, impaurita.
Questi soggetti disprezzano i sentimenti degli altri perché disprezzano i loro stessi sentimenti, quelli autentici, quei sentimenti che li portano a ricontattare il dolore e la depressione originaria. Da quei sentimenti si sono distaccati, scegliendo la via schizoide dell’alienazione e la loro copertura attraverso la rabbia.
Se guardiamo la superficie, di queste personalità vediamo l’arroganza e la prepotenza verso gli altri. Se guardiamo in profondità, attraverso gli occhi dell’anima, vediamo che praticano la danza della prepotenza in primo luogo nei confronti di sé stessi, nei confronti delle proprie parti tenere e dei propri sentimenti più intimi. Appena iniziano a comprendere, quando smettono di prendersela con gli altri, la loro rabbia non scompare ma diventa rabbia contro di sé. Rabbia che alimenta la loro depressione e il loro senso di indegnità e nullità. L’Ombra sale in superficie, ma non è redenta dalla luce e non viene trasformata finché non abbandonano la loro ultima resistenza, ossia il bisogno di giudicare. Prima giudicavano gli altri, ora giudicano sé stessi. La danza è rimasta la stessa, la danza del potere e dell’oppressione. Per cambiare danza, per entrare nella danza dell’amore, devono abbandonare il giudizio, che è alla base del loro rifiuto del mondo e della realtà così come è.
Come può comportarsi il partner nei loro riguardi?
Preso atto di queste dinamiche, i partner possono porsi in maniera empatica, soprattutto senza giudicare le loro difficoltà. L’assenza di giudizio, anzi, è prerogativa fondamentale per permettere alla persona di guardare con fiducia all’altro e alla vita. Attraverso il dialogo, si possono valorizzare insieme gli aspetti positivi della relazione, rafforzando ogni tentativo di apertura. È chiaro come per questi soggetti sia difficile abbandonarsi al sentimento e anche fidarsi e affidarsi ad un professionista, ma può risultare proficuo un lavoro terapeutico di consapevolezza di queste dinamiche inconsce che condizionano non soltanto la loro vita affettiva ma il loro comportamento in generale. Le parole dello psicanalista svizzero Carl Gustav Jung inviano un messaggio molto importante a coloro che si difendono dai sentimenti: “Io non sono ciò che mi è capitato di essere. Io sono ciò che ho scelto di diventare”. Al di là di tutto quello che ognuno ha potuto sperimentare, soprattutto di negativo, nella propria vita, c’è sempre modo di cambiare atteggiamento, attraverso la consapevolezza e la volontà di vedere e vivere le cose diversamente.
È indispensabile accogliere l’altro ma bisogna anche salvaguardare sé stessi. Quando si ama si è disposti ad aiutare l’altro e farsi carico delle sue difficoltà ma non bisogna dimenticare che ognuno è responsabile della propria vita e che l’altra persona, prima o poi, dovrà farsi carico da sé del proprio benessere personale, che si rifletterà positivamente anche in quello della coppia.

Dott.ssa Stefania Cioffi
Psicologa e Psicoterapeuta ad orientamento junghiano

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