La Dipendenza Affettiva
Come uscire da una relazione distruttiva
La dipendenza è una condizione naturale insita nell’essere umano fin dalla nascita e possiede sia una base biologica che psicologica. L’individuo necessita dell’Altro per poter esistere, crescere e maturare. Non è possibile pensare che un essere umano nasca e cresca senza essere accompagnato nel suo sviluppo da un altro essere umano, che una psiche umana possa avere un pieno dispiegamento senza rispecchiarsi e porsi in una costante relazione con gli altri.
Ma la dipendenza può assumere anche forme patologiche e rappresentare la base di molte relazioni sentimentali. Verso la fine degli anni ’80 si è iniziato a coniare il termine di dipendenza affettiva per indicare uno stile di relazione caratterizzato da un ossessivo e alquanto drammatico desiderio amoroso. Il dipendente affettivo è colui che ama anche nel caso in cui il partner designato frustri, rifiuti o addirittura sfrutti il sentimento di cui è fatto oggetto. Più la persona amata si sottrae, più la passione si esaspera, facendo vivere il sentimento amoroso in una continua oscillazione tra illusione e delusione, passione e disperazione. Khalil Gibran invitava a non morire d’amore: “Amatevi, ma non trasmutate l’amore in un legame. Lasciate piuttosto che sia un mare in movimento tra le sponde delle vostre anime. Colmate a vicende le vostre coppe, ma non bevete da una sola coppa; scambiatevi il pane, ma non mangiate da un solo pane.
Cantate e danzate insieme e siate felici, ma permettete a ciascuno di voi di essere solo”.
Potremmo dire che la dipendenza è assenza di amore, anzi ne è proprio il suo contrario. L’amore è un processo circolare, che coinvolge due persone e arricchisce sempre l’umanità di entrambe: un processo di reciproche attenzioni e gratificazioni che consente a ciascuno di maturare il loro potenziale umano. Nell’amore l’innamorato rispetta ed esalta la libertà dell’altro, ama la totalità dell’essere dell’amato, non solo quella esplicita ma anche quella nascosta e potenziale. Amando, si assiste alla rinascita di aspetti della personalità, propria e della persona amata, che sono stati mortificati e rimossi.
Se una relazione ha carattere di distruttività, se non è centrata sul rispetto, vuol dire che è basata su uno stato di dipendenza non sana, sulla sofferenza, sull’annientamento di sé e sull’infelicità, sul senso di vuoto e sulla paura della solitudine e dell’abbandono.
La dipendenza affettiva indica un esasperato bisogno di essere accuditi e di accudire, di proteggere, di ricevere riconoscimenti ma anche di manipolare attraverso la pretesa o la sottomissione.
Per evitare il rifiuto, la cui sola idea annienta cuore e mente, il dipendente affettivo antepone ad una autoconsapevolezza emotiva il benessere dell’altro, il compiacere per essere accettato sempre e comunque. Si innamora e manifesta un desiderio intenso ma esperisce ansia e angoscia che lo conducono a diventare incline alla sottomissione.
Nel dipendente affettivo sembra essere incistato un codice servile che ha le sue radici nell’ambiente familiare e sciale di appartenenza. Il bambino ha imparato a compiacere l’adulto di riferimento, a rispettare l’autorità sempre e comune, a negare i propri veri sentimenti per lasciare spazio al benessere altrui. Da adulto sente di dover amare per potersi sentire pieno di valore e contemporaneamente pretende che l’altro sia disposto a subire lo stesso trattamento a cui è stato sottoposto da bambino.
Il dipendente affettivo non ha imparato a sviluppare né amor proprio né autostima. Non riesce ad amare sé stesso e cerca ad ogni modo di farsi amare da qualcun altro. Desidera un amore che colmi il profondo vuoto affettivo che lo attanaglia ma in fondo si crede non meritevole di essere amato.
Si può guarire da una relazione distruttiva? Come fare?
La prima consapevolezza riguarda il fatto che l’amore fa bene alla salute. Ci dona energia, benessere, riduce lo stress e ci aiuta nella trasformazione del pensiero negativo in un pensiero positivo.
In una relazione di amore autentico possiamo mostrarci per quello che realmente siamo, arrenderci alla nostra vulnerabilità e alle nostre paure. Quando invece percepiamo che dobbiamo difenderci creando una falsa immagine, una corazza per proteggerci dalle nostre ferite, vuol dire che siamo all’interno di una relazione competitiva e di potere.
“Dove l’amore impera, non c’è desiderio di potere, e dove il potere predomina, manca l’amore” [C.G. Jung]
Quando in una relazione si è infelici, ci si sente spesso svuotati di energia vitale. L’essere privi di energia è un segnale fondamentale di sovra – adattamento proprio per l’impossibilità di esprimerci nella nostra vera natura. Diventiamo incapaci di gioire dei doni che la vita quotidianamente ci offre.
La persona si concentra soltanto sulla relazione, si sente in colpa per ogni cosa, perdendo di vista il senso più profondo delle cose che fa e delle possibilità che le vengono offerte.
Comincia a farsi strada la tendenza ad elemosinare o a pretendere attenzioni, continue conferme, a controllare i comportamenti del partner, fino ad anticipare sovente i suoi bisogni, a scegliere chi non è disponibile affettivamente, persone fredde e incostanti nei sentimenti.
Il primo passo per uscire da uno stato di dipendenza affettiva è quello di prendere consapevolezza della realtà, riconoscendo lo stato poco piacevole in cui ci si trova. La consapevolezza conduce sempre ad uno stato di sofferenza ma è proprio attraverso la sofferenza che si comincia ad agire e a
mettere in atto le proprie risorse per cambiare la situazione.
Vorrei sottolineare l’importanza della responsabilità che ognuno di noi ha nei riguardi di sé stessi, della propria felicità o infelicità. Nessuno lo è per noi.
Spesso invece si ha la tendenza a far dipendere la propria vita e il proprio benessere dall’altro. Una tendenza che spesso di traduce in sensi di colpa o ansia per ogni azione ritenuta sbagliata o addirittura nella disponibilità ad accettare comportamenti che non si sarebbero mai sopportati in precedenza.
Per uscire da una relazione malsana, dobbiamo smettere di credere che senza l’altra persona non possiamo vivere, che senza l’altro non abbiamo valore. Piuttosto, dobbiamo cominciare a riprendere in mano la nostra vita, a credere in noi stessi, nel nostro valore e a recuperare la nostra autonomia. Se una relazione distrugge, annienta, bisogna trovare il coraggio di interromperla, di distaccarsi emotivamente. Se le cose vanno male, si può cercare di comprenderne il perché attraverso il dialogo, non omettendo i propri sentimenti soltanto per compiacere e per la paura di non essere accettati e, quindi, abbandonati. Se nessun cambiamento si ottiene, per quanto doloroso possa essere, la separazione risulta l’unica strada percorribile per il proprio benessere e quello di tutte le persone coinvolte. Serve cercare di chiarire, ma a nulla serve sacrificarsi oltremodo, ma opportuno potrebbe essere cominciare a procedere per un nuovo inizio.
Torniamo a dare credito a ciò che sentiamo e pensiamo, evitando di sentirci in colpa per ciò che non abbiamo commesso. Se il partner ha problemi emotivi che si rifiuta di risolvere, se vi manca di rispetto ferendovi intenzionalmente ed impedendovi di esprimervi nei vostri sentimenti genuini, non c’è altra strada percorribile che quella del distacco. Ognuno poi potrà fare un proprio percorso di crescita personale.
Il dipendente affettivo si relaziona con personalità che rendono difficoltoso, se non addirittura impossibile, uno stato di benessere e serenità proprio di una relazione sana. Persone, che potremmo definire perversi relazionali, che pretendono di vedere soddisfatti i propri bisogni, a scapito delle necessità dell’altro. Soggetti che, in un primo momento, pur di attirare l’attenzione e imprigionare affettivamente il dipendente, si mostrano buoni e servizievoli, per poi pretendere, assillare ed espropriare l’altro di ogni suo bisogno. E per ottenere la totale devozione della persona dipendente, questi soggetti cominciano a colpevolizzare, accusando di aver commesso errori imperdonabili, dando l’impressione che bisogna sempre prodigarsi per far qualcosa per farsi accettare, omettendo diritti, necessità e bisogni personali.
Essere gelosi della persona amata, in modo sano, è un processo del tutto naturale quando si è innamorati. Purtroppo, però, il perverso relazionale dimostra gelosia, invidia e diffidenza non perché sia innamorato ma perché cerca di avere un controllo sulla persona dipendente, di rendere l’altro sempre più insicuro per detenerne pieno potere. Il perverso relazionale non è felice e invidia la felicità altrui in modo di struttivo. Il più delle volte, non si sente adeguato alle situazioni, prova vergogna per sé stesso ma non fa nulla per cambiare il suo atteggiamento e per migliorarsi. È molto più semplice svalutare l’altro e il dipendente affettivo è predisposto emotivamente per finire in questa trappola.
“La manipolazione emotiva non è sempre così facilmente identificabile” [R. Stern].
Secondo Stern, non è sempre facile riconoscere la manipolazione emotiva, soprattutto perché spesso si nasconde dietro la maschera del bravo ragazzo. “Con lui tutto è eccezionale; dopo un piccolo litigio, vi arriva un regalo speciale, se è in ritardo arriva con un mazzo di fiori, vi fa complimenti davanti agli amici che tolgono il respiro, eppure siete infastidite perché percepite sempre qualcosa che non va. Riesce sempre ad affascinare tutte le vostre amiche, tanto che queste non fanno che elogiare il suo romanticismo. Eppure il suo sdolcinato sentimentalismo vi rende nervose. Percepite che tutto l’eccesso di zelo che mette in gioco non vi convince”. In effetti, come Stern sostiene, i dubbi sono fondati perché il più delle volte si tratta di un gioco seduttivo, terminato il quale si ritorna a dover sopportare rimproveri, freddezza, critiche infondate e spesso anche continui tradimenti che vengono puntualmente negati.
E il cuore freddo? Si tratta di un soggetto che, pur dichiarandosi disponibile, non si lascia mai coinvolgere, alimentando aspettative che non avranno mai seguito. Il cuore freddo può essere definito una variante del seduttore incallito che, raggiunta la propria preda, si trova assolutamente spento di fronte all’idea di una relazione che possa proseguire oltre alla seduzione iniziale.
La parte dipendente chiede ascolto, non giudizio. Bisogna osservare la propria dipendenza come qualcosa che ci appartiene, come un neonato che ha bisogno di cure e attenzioni. Dobbiamo diventare genitori di noi stessi e perdonarci anche quando mettiamo in atto comportamenti che avremmo preferito evitare. Se siamo dipendenti, molto probabilmente cadremo più e più volte prima di imparare a rialzarci e a camminare da soli. Prima di imparare un comportamento diverso, dobbiamo imparare ad accettarci per quello che siamo, negli aspetti in luce ma anche e soprattutto in quelli in ombra, perché tutto ci appartiene. Dobbiamo imparare a prendere consapevolezza dei nostri limiti e abbandonare l’idea di essere perfetti. La perfezione non esiste. La perfezione risiede nell’accettazione totale di quello che siamo, nel bene e nel male. Finché non impareremo ad accettarci, neppure gli altri potranno farlo. Nessuno ci potrà amare se non impariamo a farlo noi.
Cosa vuol dire imparare ad amarsi?
Significa semplicemente iniziare a prenderci cura di noi stessi, del nostro corpo, dei nostri bisogni e delle nostre esigenze spirituali.
La parte dipendente ci chiede assiduamente di prenderci cura dell’altro, omettendo l’ascolto dei propri desideri. L’altro è al centro del proprio mondo, con la convinzione che senza l’altro non è possibile vivere, con la preoccupazione di compiacerlo sempre e comunque per tenerlo legato a sé. Bisogna capovolgere questa situazione iniziando a guardare realmente la bellezza della vita e dandoci amore a partire dalle piccole cose. Tornare a gioire della vita permette di cogliere la differenza tra l’avere a cuore qualcuno e il prendersi ossessivamente cura di qualcuno nell’intendo di volerlo cambiare.
Verranno meno anche i sensi di colpa e non si percepirà più il desiderio di rimanere all’interno di una relazione fortemente distruttiva.
Molte relazioni sono causa di infelicità in quanto i partner cercano l’altro per compensare proprie mancanze interne. Percepiscono un bisogno ossessivo dell’altra persona soltanto perché c’è la convinzione che si può essere pieni di sé e avere valore solo in relazione con qualcuno che sembra possedere ciò che a loro manca. L’altro non è più qualcosa di separato; la relazione è centrata sul bisogno e non sul desiderio, sull’eccesso di aspettative in termini di pretesa o manipolazione compiacente. Quando una relazione centrata sul bisogno dell’altro termina o è distruttiva, la persona deve fare i conti con ciò che perde perdendo l’altro. Per questa ragione le persone preferiscono, nonostante i danni che si procurano, non separarsi per la paura infondata di rimanere “incompleti”.
La ricerca di partner sbagliati è quasi sempre conseguente ad un processo di autosvalutazione interna.
Amarsi al di là del feedback esterno non è sempre facile. Ripetere a sé stessi che si è brave persone sempre e comunque, che si ha valore indipendentemente dagli altri, è il primo passo per imparare ad agire e a ritornare liberi. Solo amando noi stessi possiamo ritrovare la nostra integrità e completezza.
Occorre ricordare che prima di entrare in una relazione con un’altra persona, bisogna prima imparare a re-impadronirsi del proprio Io.
È opportuno sapere che ogni perdita profonda è un’occasione di crescita in quanto, transitando dall’infelicità di coppia ad una solitudine non solitaria al mondo, possiamo scoprire ciò che ci manca, quel qualcosa che possiamo e dobbiamo conquistarci. Torniamo a ricercare dentro di noi fascino, giocosità, creatività, intelligenza, bellezza, smettendo di reclamare i nostri pezzi mancanti entrando in simbiosi con l’altro, proiettandoci e identificandoci in lui. Guardando dentro noi stessi, imparando a riconoscerci come persone di valore, a piacerci per quello che siamo e ad amarci per la nostra unicità, conduce sulla strada della guarigione.
“Chi guarda fuori sogna, chi guarda dentro si sveglia” [C.G. Jung]
Dott.ssa Stefania Cioffi
Psicologa e Psicoterapeuta ad orientamento junghiano